Pesca sostenibile: la pesca sportiva che tutela l’ambiente

Sostenibilità e pesca sportiva

Pesca sostenibile: la pesca sportiva che tutela l’ambiente

Il concetto di pesca sostenibile, che ha preso piede a partire dagli anni Novanta, si riferisce alla possibilità di pescare nel rispetto della vitalità a lungo termine degli stock ittici e dell’ambiente marino in generale.

Negli anni il movimento ha rivelato i drammatici contorni dell’overfishing, denunciato alcuni metodi di pesca particolarmente distruttivi per gli ecosistemi acquatici e anche introdotto una Ecolabel che certifica il pescato sostenibile.

La pesca sportiva, in tutto ciò, è sostenibile per definizione. Eppure, nonostante il minimo rischio di catture occasionali, è possibile fare degli errori che possono avere delle conseguenze sulla stabilità e sulla vitalità riproduttiva delle popolazioni acquatiche.

Cos’è la pesca sostenibile e perché è così importante

Secondo l’ultimo report della FAO, oltre il 30% degli stock ittici del mondo è sovrasfruttato, mentre il 59% è sfruttato al massimo della sua capacità di riprodursi. E se si guarda al Mediterraneo, ricorda il WWF, la situazione è ancora più grave: la maggior parte degli stock ittici commerciali, circa il 73%, viene pescata “al di fuori dei limiti biologicamente sostenibili”, e la pressione di pesca è ancora il doppio del livello considerato sostenibile.

Come si legge nel documento Principi WWF per un pescaturismo sostenibile,

L’attuale intensità della pesca porterà presto a un collasso generalizzato degli stock. A questa situazione drammatica si aggiungono decenni di progressivo degrado degli ecosistemi marini dovuto al cambiamento climatico, all’inquinamento e alle attività marittime.

Nonostante negli ultimi 10 anni la pressione di pesca sia diminuita in tutto il bacino del Mediterraneo (per alcune specie sottoposte a tutela fino al 75%), la situazione è ancora critica.

Pesca sportiva e sostenibilità

Le tecniche di pesca più dannose sono la pesca a strascico, quella con le draghe e quella con le reti da posta, che implicano un enorme rischio di catture accessorie: le reti possono intrappolare rifiuti tanto quanto esemplari di specie protette e giovani sottotaglia, al punto che secondo recenti stime soltanto il 20% di quello che si trova nelle reti viene messo in commercio.

La pesca a strascico è particolarmente deleteria per l’ecosistema: le pesanti reti calate fino a 50 metri di profondità possono provocare gravi danni al fondale, sradicando la vegetazione e distruggendo interi habitat.

In questo senso la pesca sportiva è di per sé sostenibile: quando il pescatore deve visualizzare la preda, riconoscerla e soppesarla prima ancora di tirarla fuori dall’acqua, il rischio di catture involontarie è pressoché nullo.

Sia la pesca con canna sia la pesca in apnea con arbalete sono attività a basso impatto ambientale. Ma per una pesca sportiva davvero responsabile bisogna conoscere i pesci, a partire dalla taglia minima di pesca e dalla stagionalità del loro ciclo riproduttivo.

Pesca sostenibile: conoscere la preda

Per pescare in maniera sostenibile, bisogna conoscere la preda. Ancora prima di puntare l’arbalete bisogna capire tutto dell’esemplare che si ha davanti: a quale specie appartiene, qual è la taglia a cui è considerato sessualmente maturo, cosa mangia, come caccia, qual è la situazione della sua specie in termini di vulnerabilità (anche a livello locale).

Un esempio particolarmente triste è quello dell’anguilla, piatto tradizionale in diverse regioni italiane: è considerata ormai da anni in pericolo critico di estinzione, eppure se ne pescano ancora a tonnellate. Soltanto nel 2021, in Italia, sono state riportate 50 tonnellate di anguille destinate alla vendita: se si continua così, le anguille non ci saranno più. E lo stesso discorso vale per il tonno rosso, per il pesce spada, per la verdesca, per la cernia, per il palombo e per il rombo chiodato.

Quando non ci sono regole e limitazioni precise, la pesca sostenibile è una questione di responsabilità personale, una scelta del pescatore. Ma c’è di che riflettere: se avessimo pescato molti meno polpi, oggi il granchio blu avrebbe un predatore naturale anche nei nostri mari.

Pesca sportiva, una risorsa per l’ecosistema

Senza un’adeguata conoscenza della preda, c’è sempre il rischio di catturare un esemplare troppo giovane, o appartenente a una specie appena inserita nelle liste rosse dell’IUCN. La pesca sportiva responsabile, d’altro canto, può essere una grande risorsa per la tutela della biodiversità: tanto per cominciare, i pescatori sono quasi sempre i primi a segnalare la presenza di specie aliene invasive, permettendo l’intervento di autorità e associazioni.

Una pesca selettiva al massimo grado come quella sportiva può diventare un importante alleato anche contro l’invasione di specie aliene pericolose per la biodiversità del Mediterraneo. Secondo il Codice di Condotta sulla pesca sportiva e le specie aliene invasive pubblicato dal Consiglio d’Europa nel 2014,

le autorità dovrebbero coinvolgere i pescatori sportivi nei programmi di eradicazione delle specie aliene invasive per incrementarne la consapevolezza educativa e pratica, nonché per utilizzarli come risorse.

Di certo non sarà la pesca in apnea a salvarci dal granchio blu, ma con una pesca sportiva sostenibile e pienamente responsabile possiamo fare la nostra parte nella tutela dei delicati ecosistemi teatro delle nostre battute di caccia, e fare della passione di una vita un contributo alla salute del pianeta.