Le meraviglie dei mari profondi: pesca subacquea estrema

Pesca sub nei mari profondi: cosa sapere

Le meraviglie dei mari profondi: pesca subacquea estrema

Digitando “pesca sub estrema” su YouTube ci si trova davanti a video di avventure epiche, con spedizioni al limite della follia che si spingono fino a 70 metri di profondità, con immagini di acque limpide, pesci enormi e arbaleti lunghissimi. Queste imprese eccezionali, frutto dell’estro e della passione di atleti al di fuori del comune, sono in realtà il prodotto di anni di allenamento ed esperienza, e rientrano a tutti gli effetti nella pratica degli sport estremi.

La pesca sub nei mari profondi è una disciplina affascinante quanto pericolosa, che mette anche l’apneista più esperto nelle condizioni di sfidare i suoi limiti fisici e mentali: perdere il polso della situazione quando si è immersi 40 o 50 metri sott’acqua significa non avere margine di recupero, questo i pescatori sub con un po’ di esperienza lo sanno benissimo. Come sempre avviene quando ci si confronta con il mare, i più grandi pericoli derivano proprio dall’inesperienza e dalla scarsa consapevolezza.

Pesca sub nei mari profondi: da dove iniziare

Quando ci si approccia per la prima volta con la pesca sub estrema, magari grazie all’emozionante resoconto video di una spedizione a 70 metri di profondità, è inevitabile subire il fascino eccezionale delle grandi avventure in acque profonde. I pesci sono enormi e meno smaliziati di quelli che si trovano nel sottocosta, ma quando si scende in profondità le catture non sono tutto.

Quella di trovarsi immersi nel mare profondo è un’esperienza per pochi, che richiede il massimo della preparazione psico-fisica e una grande consapevolezza, soprattutto quando si tratta di affrontare frontalmente i propri limiti. Anche i campioni che arrivano a pescare a 70 metri di profondità sono molto chiari sull’argomento: prima di sfidare le acque profonde, è assolutamente necessario avere in mano tutte le carte per poter mitigare i rischi connessi alla pesca subacquea estrema.

Inutile dire che per affrontare una battuta di pesca subacquea oltre i 30 metri di profondità è necessario avere una conoscenza molto approfondita della tecnica di apnea, e con ciò anche dei propri limiti fisici e mentali. A certe profondità non serve arrivare a sperimentare forme totalizzanti di panico perché l’immersione si trasformi in un rischio fatale: come ricordano gli esperti, maggiore è la profondità maggiori sono i pericoli. Questo va sempre tenuto a mente, anche di fronte a un dentice di 10 chili a tiro di arbalete.

Le regole fondamentali della pesca subacquea estrema

Una volta considerati i rischi e i pericoli dell’impresa, e valutata con attenzione la propria capacità di apnea, si può pensare di avventurarsi alla scoperta delle acque profonde e delle prede che vi si possono insediare.

Come ogni sport estremo, la pesca sub in acque profonde ha le sue regole inaggirabili:

  • immergersi solo quando le condizioni del mare lo consentono;
  • mai entrare in acqua senza un compagno;
  • testare la propria tecnica di discesa;
  • rispettare i tempi di recupero;
  • saper riconoscere i propri limiti.

La prima cosa da sapere quando ci si approccia alla pesca sub nei mari profondi è che rispettare i programmi di immersione non è sempre possibile: se si alzano le correnti o l’acqua si intorbidisce, la battuta salta. C’è poco da discutere: “Questo tipo di immersioni non si fanno in condizioni di scarsa visibilità: voglio che il mio compagno d’immersione sia in grado di vedermi e seguire il mio galleggiante”, ricorda la leggenda dei mari profondi Brandon Hendrickson, “se a 18 metri già non mi vedi, allora non ho intenzione di correre il rischio di fare quell’immersione”.

Quanto alla tecnica di discesa, bisogna considerare l’idea di scendere senza pinneggiare troppo, per risparmiare più ossigeno possibile: molti campioni si lasciano cadere sul fondo senza nuotare, sfruttando al massimo la fase di caduta libera che subentra oltre i 35-40 metri di profondità.

Una regola ferrea, se si pensa di immergersi in acque profonde (con o senza arbalete) è quella di rispettare i tempi di recupero. Come spiega Hendrickson, “i miei respiri non sono meno del doppio della durata di ogni immersione e molto spesso sono tre o quattro volte più lunghi. Se devo fare un’immersione di due minuti e mezzo o tre, in genere, cerco di fare una respirazione di circa otto minuti tra un’immersione e l’altra”. Questo è necessario non soltanto per una questione di sicurezza, ma anche per avere un’immersione più efficace.

Mari profondi: prede e attrezzatura

La misura del pesce non è proporzionale alla profondità: se è vero che le cernie delle acque profonde sono più grosse, questo non vale per il resto dei pesci. D’altronde tutti prima o poi devono passare per il bassofondo, per nutrirsi o cacciare, a prescindere da quanto siano corpulenti. Quando sono in profondità, non aspettandosi la presenza del pescatore, i pesci si lasciano insediare più facilmente, ed è vero che se si punta a cernie, dentici e grosse corvine ci si dovrà rivolgere a profondità di almeno 10-20 metri. I motivi per avventurarsi oltre queste profondità, d’altro canto, spesso c’entrano poco o niente con il carniere.

Quanto alla tecnica, la pesca sub nei mari profondi si svolge quasi esclusivamente utilizzando le tecniche della caduta, dell’aspetto e della tana (per i più esperti): la pesca all’agguato in profondità viene in genere sconsigliata in quanto molto dispendiosa in termini di ossigeno.

Se si vuole pescare a oltre 20 metri di profondità, si avrà bisogno di un arbalete lungo e potente (dotato di mulinello se si pensa di insediare grossi pelagici o predatori), ma non necessariamente un bestione da 8 metri di gittata. L’ideale sarebbe affidarsi a un giusto compromesso tra potenza e maneggevolezza: trovarsi in acque profonde con un arbalete difficile da brandeggiare e caricare potrebbe infatti risultare più frustrante di un tiro a vuoto.