La medicina subacquea e i rischi legati alle immersioni

Cos'è la medicina subacquea e a che serve

La medicina subacquea e i rischi legati alle immersioni

L’immersione in acqua è una condizione estremamente innaturale per l’organismo e produce degli importanti effetti sul corpo umano, che possono trasformarsi in processi terapeutici ma anche in gravi pericoli per la salute dei subacquei.

La medicina subacquea si occupa della diagnosi e del trattamento delle patologie legate alle immersioni, che siano in apnea o con respiratori, e della prevenzione di incidenti e malori in acqua.

Cos’è la medicina subacquea?

La medicina subacquea si occupa di diagnosticare, trattare e prevenire le condizioni patologiche legate alle immersioni sott’acqua. Oltre a stabilire e valutare i prerequisiti fisici necessari per immergersi, questa complessa disciplina studia gli effetti dell’immersione sul corpo umano a partire dalle conseguenze della pressione dell’acqua sull’organismo, fenomeno fisico da cui dipendono gran parte delle patologie subacquee a carico di orecchie, cuore e polmoni.

Dalla medicina subacquea deriva la terapia iperbarica, utilizzata oggi per il trattamento di diverse patologie: la stessa camera iperbarica (o camera di decompressione) prende il nome dalle soste di decompressione tipiche della risalita dei subacquei in superficie.

Questo particolare apparato usato nella medicina iperbarica, che fu inventato agli inizi del Novecento dal palombaro Alberto Gianni, permette di sottoporre l’organismo a una pressione superiore a quella atmosferica, ricreando la condizione che si sperimenta sott’acqua.

Gli effetti dell’immersione sul corpo umano

La decompressione in camera iperbarica viene usata per il trattamento di due patologie tra le più diffuse tra chi pratica immersioni, cioè la malattia da decompressione e l’embolia gassosa arteriosa. Queste due patologie, che riguardano tipologie di immersione praticamente opposte, hanno essenzialmente la stessa causa: la variazione della pressione cui sono sottoposti i gas naturalmente presenti all’interno del corpo umano.

La pressione provoca delle trasformazioni importanti a carico dell’orecchio medio, della circolazione sanguigna e della respirazione: si parla non a caso di eventi barotraumatici, ovvero provocati dalle modifiche della pressione esterna.

Secondo la legge di Boyle-Mariotte, “il volume di una certa quantità di gas varia in modo inversamente proporzionale alla pressione a cui viene sottoposto”: ciò significa che scendendo in profondità il volume dei gas presenti nel corpo e nell’attrezzatura si comprime gradualmente, mentre tornando verso la superficie aumenta.

Ciò vale per tutti i gas presenti nel sangue (ossigeno, azoto, anidride carbonica), ma è soprattutto l’azoto a costituire un pericolo per i sub: questo gas infatti è inerte, e viene immagazzinato nei tessuti così com’è, senza essere trasformato dalla respirazione.

In condizioni naturali, l’azoto viene gradualmente rilasciato sotto forma di gas durante l’espirazione. La riduzione della pressione che si sperimenta quando si risale da un’immersione, però, può provocare un’eccessiva liberazione di azoto in forma gassosa (le cosiddette “bolle” di azoto), che il sub non riesce a eliminare tramite la respirazione e che può dare origine a emboli gassosi e danni agli organi.

La patologia da decompressione: i pericoli della risalita

La maggior parte degli infortuni legati alle immersioni sono provocati da eventi barotraumatici: la narcosi da azoto, l’assorbimento di CO2 e l’avvelenamento da ossigeno sono direttamente causati dalla variazione della pressione, come anche le diverse patologie a carico dell’orecchio medio e interno.

Le due patologie più temute in ambito di medicina subacquea, però, sono le patologie da decompressione, ovvero la malattia da decompressione (MDD) – tipica di coloro che si immergono con le bombole – e l’embolia gassosa arteriosa, che invece riguarda più di frequente chi pratica l’apnea.

Malattia da decompressione: cos’è e quando si manifesta

La malattia da decompressione può manifestarsi quando si risale in superficie troppo rapidamente oppure quando non si effettuano le necessarie soste di decompressione durante la risalita.
L’aria contenuta nelle bombole è infatti composta al 79% da azoto, il gas inerte che come abbiamo visto rischia di essere liberato in modo troppo violento a causa della diminuzione repentina della pressione.

L’immagine che viene usata più spesso per descrivere la decompressione dell’azoto nell’organismo è quella di una lattina contenente una bevanda molto frizzante: quando si apre la lattina, e quindi si toglie pressione, il gas viene liberato in maniera esplosiva, generando bolle che la linguetta non riesce a trattenere e rilasciare in maniera controllata.

Medicina subacquea e apnea: l’embolia gassosa arteriosa

L’embolia gassosa arteriosa riguarda invece più di frequente gli apneisti, e dipende direttamente dalla legge di Boyle-Mariotte. Quando si passa da 0 a 10 metri di profondità, la pressione passa da 1 a 2 bar: ciò significa che mentre si risale da 10 metri verso la superficie l’aria contenuta nei polmoni raddoppia di volume, cosa che può arrivare a lacerare gli alveoli polmonari.

Non smettere mai di respirare” è una delle regole di base dell’apnea e delle immersioni in generale: regolare la quantità d’aria contenuta nei polmoni espirando progressivamente serve proprio a bilanciare la pressione polmonare durante la risalita.

La diffusione dell’immersione in apnea, soprattutto a grandi profondità, ha portato l’attenzione anche su altri meccanismi di compensazione fondamentali per i sub, come quelli necessari per evitare scompensi a carico dell’orecchio, tra i più diffusi soprattutto tra i sub meno esperti.